venerdì, 8 Novembre, 2024

Padova, la città della cultura stupisce ancora e scrive la storia

Conosciamo le tre giovani studiose padovane, che hanno raggiunto diversi traguardi riservati fino ad allora solo agli uomini.

È risaputo che Padova sia un’importante città culturale e che sia caratterizzata da una vivacità intellettuale che le permetta di distinguersi dalle altre città italiane e nel mondo.

E infatti proprio tre donne originarie di Padova hanno fatto la storia: chi si è laureata, chi è diventata una romanziera o redattrice di un magazine.

Ma chi sono queste tre donne che con la loro tenacia e risolutezza hanno saputo credere in loro stesse e realizzare i loro sogni?
Conosciamole insieme!

Elena Cornaro Piscopia: la prima donna laureata a mondo

Presentiamo ai nostri lettori una personalità di grande rilevanza storica già comparsa un paio di volte sulle pagine del nostro magazine.

Motivo di vanto per ogni cittadino padovano, la storia della prima donna laureata al mondo ci è cara perché, come sappiamo, è avvenuta proprio a Padova.

Siamo nella cappella della beata Vergine del Duomo di Padova, che è gremita di nobili e personaggi importanti accorsi ad assistere a questo evento epocale: è il 25 giugno del 1678 e la trentaduenne Elena Lucrezia Cornaro Piscopia sta per riscrivere la storia con la sua discussione di laurea in filosofia. Non che la filosofia fosse la sua unica predilezione.

Questa donna fuori dal comune padroneggiava numerosissime materie di studio fra cui la matematica e l’astronomia galileiana, lingue morte e moderne e molte altre ancora. Ma quello che Elena amava di più al mondo era la teologia.

Tuttavia, quando si trattò di autorizzare la sua laurea, l’allora vescovo di Padova, Gregorio Barbarigo, osteggiò fortemente la carriera teologica per una donna. Era già abbastanza sconveniente che una donna ottenesse un titolo di studio come la laurea, che infatti non era stata concessa a nessuna prima di lei.


Gli studi di Elena

Ma Elena non era una donna come tutte le altre. In lei, la fiamma della conoscenza faticava a spegnersi e fu fortunata abbastanza da essere guidata da suo padre, Giovanni Battista Cornaro Piscopia, verso un’educazione accademica d’eccezione. Egli era un mecenate molto progressista e si accorse presto della passione della piccola Elena per il sapere.

Ella lo bramava con tanta convinzione, che il padre si decise a farla seguire dai migliori eruditi dell’epoca. Passavano per casa Cornaro diverse personalità di spicco del mondo accademico dell’epoca: da Giovanni Battista Fabris, un latinista, Elena imparò il latino alla perfezione.

Da Alvise Gradenigo, il miglior grecista in circolazione, la piccola apprese il greco antico altrettanto bene.
Da Shemuel Aboaf, un rabbino, Elena imparò l’ebraico e infine, dal gesuita Carlo Maurizio Vota,  approfondì la matematica e l’astronomia.
A soli 11 anni, poi, la piccola Elena fece voto di castità e diventò suora laica benedettina, nonostante i suoi desiderassero per lei un matrimonio conveniente. La fama della piccola padovana sapiente dilagò nei saloni di tutt’Europa, in cui ella veniva esibita non senza un certo paternalismo.

Elena tra i maggiori eruditi del tempo

Quasi come un’attrazione circense, Elena veniva sfoggiata e continuamente interrogata sulle sue conoscenze. A malincuore, rispondeva ad ogni domanda e di certo non si tirava indietro di fronte a conversazioni animate con i migliori studiosi del tempo. Compiacere suo padre, che le aveva offerto così tanto spazio, era per lei fondamentale e le faceva momentaneamente dimenticare quanto aborrasse lo sguardo sessista e patriarcale che incombeva su di lei dall’alto.

Nel 1677, gli sforzi e il piacere spesi per acquisire tutte quelle nozioni vennero coronati da una richiesta del padre Giovanni: egli pretendeva per lei l’assegnazione del più alto riconoscimento accademico. Una richiesta che oggi può sembrare banale, scontata. Una richiesta che, all’epoca, aveva invece dell’incredibile.

Si celebrò dunque una proclamazione al cospetto dei maggiori eruditi di Padova e Venezia. Provate solo ad immaginare i sentimenti contrastanti che serpeggiavano quel giorno in quella sala gremita di studiosi. Un misto di dissenso ed ammirazione accompagnarono la discussione e le successive celebrazioni.

Quello stesso anno Elena fa da esaminatrice per un’altra laurea in filosofia. L’anno successivo si trasferisce definitivamente da Venezia a Padova e va ad abitare a Palazzo Cornaro, un luogo sfarzoso fatto costruire dal suo trisnonno, Alvise Cornaro. Tuttavia, solo sei anni più tardi, il 26 luglio 1684 Elena muore di tubercolosi, all’età di 38 anni.

L’impegno per l’emancipazione femminile

La sua scomparsa colpisce come uno schiaffo il mondo degli intellettuali del tempo: al suo funerale, il feretro viene coperto dal suo abito da suora laica e dalla sua mantella d’ermellino, la veste dottorale, con in testa due corone: una corona di gigli a simboleggiare la sua verginità e castità, l’altra di alloro, per ricordare la sua grandezza.

Viene sepolta nella chiesa di Santa Giustina, a Padova. Sembra che il volere di  Elena fosse quello di distruggere tutte le sue opere e manoscritti. Molti interpretano questo come l’ennesimo tentativo di appropriazione del suo lavoro, altri come un gesto dettata del senso di inadeguatezza che il mondo maschilista dell’epoca le infondeva da sempre.

Finestra del Vessar College di New York con Elena Cornaro Piscopia

Un maschilismo riconfermato dal lungo gap temporale che decorse prima che un’altra donna ottenesse lo stesso riconoscimento. Perché, al contrario di come molti speravano, la sua laurea non rese la vita delle altre donne più facile. Dovettero passare quasi 100 anni prima che un’altra donna si laureasse in Italia: : Laura Bassi, una fisica di Bologna.

Quello che però sappiamo per certo è che la sua storia rimane ancora oggi immortale, oltre che una grande fonte d’ispirazione e un esempio di caparbietà premiato in numerosi modi: le sono state dedicate strade, biblioteche, scuole, piazze e anche un doodle di Google.

Ma forse l’omaggio più bello è stato dare il suo nome a un cratere dal diametro di 26 chilometri sul pianeta Venere. Elena è riuscita persino a conquistare un altro pianeta come pionera forte e controcorrente.

Giulia Bigolina: l’autrice del primo romanzo scritto da una donna

Un altro vanto per tutti i padovani è la scrittrice Giulia Bigolina:  la prima romanziera italiana.

Giulia Nacque appunto a Padova nel 1518. Anche il padre, Gerolamo Bigolin, era uno scrittore e, non a caso, decise di occuparsi personalmente dell’educazione della figlia.

La piccola Giulia manifestò il suo interesse per la scrittura precocemente e compose le sue prime opere durante la giovinezza. La sua produzione letteraria, influenzata da autori come Boccaccio, era largamente apprezzata dagli intellettuali dell’epoca, specialmente in ambito accademico.

Un ambito dal quale ella tuttavia rimase esclusa. Giulia Bigolina era un’autrice diversa da tutte le altre autrici a lei contemporanee rimaste inascoltate: a differenza loro, non componeva melensi sonetti petrarcheschi, nonostante la moda del tempo imponeva per la donna uno stile letterario patetico e sentimentale.

Urania, il romanzo di una scrittrice coraggiosa

Il suo capolavoro indiscusso, quello che le ha inoltre permesso di entrare negli annali storici italiani, è “Urania”. Si tratta di un romanzo rosa ed è l’unica opera dell’autrice giunta intatta fino ai giorni nostri con sole tre copie sparse fra Roma, Milano e, ovviamente, Padova.

Nonostante il genere romantico e sentimentale, il romanzo non manca di passaggi avventurosi vissuti da una protagonista coraggiosa che, non corrisposta nel suo amore, decide di scappare travestita da uomo. Un espediente non del tutto nuovo in letteratura, ma di certo non ancora esplorato in prima persona da una scrittrice donna.

È, pertanto, il primo romanzo rinascimentale scritto da una donna. La protagonista, chiamata appunto Urania, è una donna casta ma temeraria, che vuole dimostrare al suo amato quanto la bellezza interiore superi quella esteriore. Durante la sua fuga, Urania incontra vari personaggi, con cui intrattiene delle interessanti conversazioni riguardo ai rapporti tra uomo e donna.

Il romanzo è una fotografia delle usanze sociali del cinquecento raccontata attraverso un punto di vista femminile: è di sicuro una novità che offre vari spunti di riflessione e testimonianze preziose della vita coeva.

La riscoperta di quest’opera preziosa si deve ad un’altra donna, Valeria Finucci, docente di letteratura italiana alla Duke University di Durham, nel Nord Carolina, che ha rinvenuto una delle tre copie del romanzo alla biblioteca Trivulziana di Milano.

Grazie a lei, abbiamo un’ulteriore prova della tempra forte e solida che le donne patavine conservano intatta ancora oggi nel loro dna, come un ricordo lontano ma inequivocabile.

 Gualdaberta Alaide Beccari: primo magazine con una redazione tutta al femminile

Questa storia tutta al femminile ci è particolarmente cara perché non parliamo soltanto di una delle protagoniste della nascita del movimento emancipazionista italiano, ma anche della direttrice del primo magazine con una redazione tutta al femminile.

Stiamo parlando di Guadalberta Alaide Beccari, una padovana cresciuta da una famiglia di fede mazziniana nella seconda metà dell’ottocento.
Figlia d’arte, Guadalberta non intraprese una carriera scolastica regolare, ma si formò fin dalla tenera età attraverso studi personali e la precoce collaborazione con la compagnia teatrale dei genitori.

Dopo una breve parentesi modenese dovuta alle vicende belliche di quegli anni, Guadalberta tornò ormai da donna nella sua città natale, la bella Padova, dove cominciò a costruire qualcosa per sé stessa e le altre donne forti come lei.

Finalmente non seguì più le orme di nessun altro, ma poté iniziare un percorso tutto suo, che le permise di coniugare la sua passione letteraria con i suoi desideri di emancipazione femminile.

È proprio così che nascerà la rivista “la donna” (1868.1891), con una redazione composta solo da donne.
Proprio per questa peculiarità, il periodico diventò l’organo primario del movimento femminista in Italia, annoverando tra le sue fila donne del calibro di Anna Maria Mozzoni, Luisa Tosco, Elena Ballio e Giorgina Staffi.

Come già anticipato, gli interessi di Guadalberta influenzeranno tutta la sua produzione giornalistica e letteraria, indirizzando i suoi scritti alla formazione e all’informazione della figura emblematica della “madre cittadina”.
Secondo lei, infatti, l’epoca del risorgimento italiano aveva bisogno di una figura femminile che fosse informata su tutti gli ambiti, da quello politico a quello artistico.

Avanguardia femminile

Gli articoli in merito, non si limitavano all’enunciazione di semplici concetti teorici, ma fornivano elementi pratici per poter guidare le donne verso un’ideale di cittadine consapevoli e responsabili.
Questo e molto altro nella rivista, che non tralasciava nemmeno le tendenze del pensiero femminile di carattere internazionale, che potevano ispirare e spingere le donne italiane a raccogliere il coraggio necessario a trovare la propria voce e il proprio posto nella società patriarcale del Risorgimento.


Guadalberta credeva in una cittadinanza femminile piena e nella parificazione salariale di genere e cercò di far trasparire questi ideali anche nel suo “La donna”.

Una donna sicuramente all’avanguardia non solo quella descritta dal giornale, ma Guadalberta stessa che, come molte donne forti, rimase sola e spesso non compresa fino in fondo.

Un elemento rumoroso in un sistema presunto “perfetto” in cui il progresso era visto con un certo timore e disappunto.

Morì da sola nelle vicinanze di Bologna, ma Padova continua a renderle omaggio e a ringraziarla per quelle lotte che, tristemente, sembrano non essersi concluse del tutto.

A cura di Ilenia Pennacchio

 

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