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martedì, 19 Marzo, 2024

Il borgo di Erto e Casso è immerso nella natura della splendida valle del Vajont.

Tra le strette vie ciottolate, tra le alte case in pietra, non si dimentica il paese precedente, distrutto durante quella assurda tragedia.

Due comunità diverse tra loro, Casso e Erto, costituiscono invece un unico comune. Caratterizzati da un’architettura spontanea in pietra locale dal tipico colore rosato e coronati dalle cime dolomitiche, questi due paesi sorgono sulle pendici opposte della frana del Monte Toc.

Erto è anche il punto di partenza per suggestivi sentieri naturalistici, incominciando proprio dalla Val Zemola.

Il comune, oltre ad ospitare anche la sede e le mostre dell’Ecomuseo Vajont, fa anche parte, per le sue inabitabili caratteristiche, dei Borghi Autentici d’Italia.

Il paese di Erto e le case-fossili

Il paese di Erto consiste di due parti distinte ma idealmente unite fra loro: il centro storico e il centro abitato ricostruito dopo il Vajont.

L’area ricostruita dopo la tragedia del 1963 si posiziona a nord-est rispetto al centro storico ed è attraversata da Via IX Ottobre.


Il centro storico di Erto è un borgo di case in pietra che si snoda lungo una via centrale; le case che sorgono sulle pendici opposte della frana del Monte Toc, semplici e austere, in realtà custodiscono preziose testimonianze storiche.

Osservando attentamente la muratura, si possono scorgere numerosi fossili, riferibili ai diversi periodi che hanno formato il sedimento calcareo.

Dalla strada secondaria (l’antica via maestra di Erto, detta anche Vecchia Postale) che corre parallela alla prima, nella parte inferiore del paese, oggi è stata in parte inserita nel tratto della pista ciclabile che permette di gli scorci più caratteristici di questo piccolo paese di montagna.

La vicenda del Vajont

Non si può scrivere di Erto senza scrivere della tragedia Vajont.

A cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta il Torrente Vajont fu sbarrato, a scopi idroelettrici, da una diga.

La Frana del Vajont non è che il più recente e tragico capitolo del più recente processo naturale di vita di una montagna, durante la quale le rocce si formarono, vennero sollevate e quindi erose.

L’intervento dell’uomo, con la costruzione della Diga, in una valle già di per sé geologicamente instabile favorì il distacco di una gigantesca frana che riempì parzialmente il serbatoio provocando una terribile ondata: i paesi lungo il lago, Longarone ed altri abitati vennero rasi al suolo con un tragico bilancio di quasi 2.000 vittime.

La Diga ad arco di 265 metri e la più alta del mondo nel suo genere resistette, mentre la Valle del Vajont, con i paesi di Erto e Casso abbarbicati su ripidi pendii, appare ancora fortemente segnata dall’evento.


Nelle viuzze d’acciottolato, abbandonate dopo il disastro del 1963, si respira ancora oggi l’aria di un tempo perduto e fermatosi in quella triste notte.

Presso il Centro visite di Erto è possibile visitare la Mostra “La Catastrofe del Vajont, uno spazio della memoria”, vero e proprio centro documentativo che descrive in tutte le fasi il fenomeno, con la visione di documentari e la lettura di libri dedicati a questa immane sciagura.

Sicuramente le informazioni riguardanti la vicenda del Vajont sono molte e esaustive, ma l’intervista esclusiva a Mauro Corona, uno dei figli della valle del Vajont oltre che scrittore rappresenta una voce autorevole nel campo del rapporto fra l’uomo e la natura.

Per non dimenticare

Il Parco delle Dolomiti Friulane, dove si trova la diga del Vajont, effettua visite guidate nelle zone più colpite dove sono rimasti i segni indelebili di quella notte.

Oltre all’immensa frana, -ben visibile alle pendici del monte Toc- capitelli, chiesette, scheletri architettonici e pavimenti di case antiche ogni anno vengono ripuliti dagli abitanti della valle che togliendo erbacce e detriti, gli fanno riemergere insieme ai ricordi delle vite che lì ci abitavano.

Per non dimenticare, oggi si può raggiungere la diga del Vajont grazie alle visite guidate.

Non si tratta di una visita leggera, sicuramente; ma visitare la diga del Vajont oggi, è un’esperienza di vita e significa prendere consapevolezza della gravità dei fatti accaduti.


Quando si arriva al punto di partenza della diga ad accogliere i visitatori c’è una serie di bandierine affisse alla palizzata del parapetto: tantissime bandierine colorate che riportano i nomi dei bambini rimasti vittime della tragedia.

Ci sono visite guidate lunghe 2 ore o 3 ore per chi vuole approfondire la storia dell’intera vicenda, tra i luoghi simbolo del disastro del Vajont, alcuni meno conosciuti, altri nascosti dove entrare in punta di piedi.

Assaporare la vita antica delle praterie dei paesi di Erto e di Casso, immaginare le serate intorno al fuoco e vedere quello che resta del lago è davvero affascinante; ma la caratteristica più suggestiva di questi luoghi è la natura che sembra voler lenire queste cicatrici del passato facendo crescere piante, alberi e fiori preziosi sulle pendici del Monte Tóc e sulla stessa frana.

Lo sapevi che…

Nasce nelle Dolomiti la strepitosa via ferrata del Vajont, la “Ferrata della Memoria”, nata da un geniale idea di Fabio Bristot “Rufus” delegato del Soccorso alpino delle Dolomiti Bellunesi che ha voluto ricordare anche attraverso lo sport la tragedia del Vajont.

La nuova via ferrata percorre la destra orografica della gola del Vajont attraversando territori dei comuni di Longarone (BL), Castellavazzo (BL) e Erto (PN).

Dopo la bellissima falesia di Erto, grazie alla nuova via ferrata del Vajont questa zona e le sue pareti diventano ancor più un luogo ideale per gli appassionati di montagna.

A cura di Greta Monterosso

 

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